Accademia di Belle Arti di Nola: STEFANO RENNA Giornalismo per immagini.

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La vita attraverso un obiettivo fotografico. 1988/2018 trent’anni di fotogiornalismo.

Io testimone del mio tempo

Nel corso della mia carriera ho considerato la comunicazione l’incipit di qualsiasi lavoro artistico, tanto da averla sperimentata in differenti linguaggi espressivi. L’obiettivo principale è stato quello di raccontare l’esperienza della realtà, non solo attraverso la macchina fotografica, ma con qualsiasi altro strumento scelto come veicolo di comunicazione (il video, la pittura, la prosa, la musica, la poesia). Gli albori della mia carriera artistica, legata alla formazione in accademia (che frequentai agli inizi degli anni ’80 e con particolare interesse per la fotografia di Mimmo Jodice e diplomandomi con il massimo dei voti nell’84 nella sezione di pittura), sono scanditi da una dialettica sperimentazione del mezzo fotografico e pittorico, che poi abbandonai definitivamente nel 1984. In un parallelismo con i processi fotografici, mi servivo di prodotti chimici come strumenti del mio lavoro, dalle cui reazioni veniva fuori l’opera compiuta. La pittura, rappresentava uno strumento di comunicazione al pari della fotografia, con la differenza che se la prima costituiva “un filtro verso l’interno delle comunicazione”, la seconda era “la sintesi – il documento in formato statico di ciò che avevo visto”. La pittura vive la notte, metafora dell’interiorizzazione delle percezioni, la fotografia la luce, necessaria al processo fotografico per impressionare e catture un’immagine al momento dello scatto. La fotografia è un “Hard-Disk della realtà” sublimata attraverso il pensiero creativo dell’artista. In altre parole uno sguardo soggettivo che raggiunge il massimo grado di oggettività, quando riesce a comunicare ciò che si è provato, e non solo visto nell’attimo scelto da immortalare. La fantasia sarà l’elemento che consentirà al fotografo di esprimere un’idea dietro un’immagine, non più solo riproduzione della realtà. Dietro l’obiettivo uno sguardo, che nonostante viva “in uno stato di estasi”, dovrà essere in grado di formalizzare ciò che ha percepito secondo un ordine prestabilito. Una visione che si traduce in forme geometriche capaci di ordinare lo spazio servendosi di regole oggettive e scientificamente riconosciute, come l’ausilio delle geometria descrittiva o della prospettiva, quali strumenti necessari alla messa in opera. Il fotografo, quale filtro della realtà reinterpretata attraverso il suo sguardo, per poter esprimersi ed essere efficace nella comunicazione, deve padroneggiare tutte le potenzialità del mezzo fotografico in modo da poterle usare a proprio vantaggio. Secondo questa logica la fotografia ottiene il suo scopo nel momento stesso dello scatto, differentemente dalla Post-Produzione, in cui diviene uno strumento di lavoro necessario al raggiungimento del prodotto finito, così come i pennelli lo sono per il pittore. La fotografia deve mantenere, alla pari della pittura o della scultura, la traccia di un’autorialità, ovvero di un ingegno capace non solo di riportare l’evento, come documento o ricordo, ma esaltarne ciò che intende comunicare, attraverso precise scelte compositive come una particolare luce, inquadratura o soggetto. Una stessa vicenda potrebbe essere raccontata e quindi interpretata in maniera sempre differente a seconda del punto di vista da cui il fotografo ha scelto di osservare l’evento; Come se il fotografo accendesse un registratore e lo rivolgesse verso quella voce che ha deciso di far parlare: una donna che urla alla vista del figlio morto, ancora riverso a terra in una pozza di sangue, o la gente comune che ogni giorno vive i soprusi della camorra, o ancora le discriminazioni subite dagli extracomunitari nei paesi europei (progetto They won’t Budge: Africans in Europe). Si tratta di soggetti che evidenziano l’intenzione d’intraprendere un percorso artistico che diventa anche denuncia sociale. Finalità che ho potuto mettere in pratica soprattutto durante la mia attività di fotoreporter, come nel servizio per l’Espresso del 1991 sul caso della terra dei fuochi, o i documentari sui delitti di Camorra, da cui poi è nato prima il libro “ L’ultimo sangue” del 2007 (testi di Marco Salvia) e successivamente il progetto “Camorra: Le Voci di Dentro”. In quest’ultima occasione ho sentito fortissima l’esigenza di rafforzare l’efficacia narrativa delle mie storie, arricchendo l’apparato fotografico di musiche e parole, che potessero al meglio riprodurre ed amplificare ciò che avevo provato al momento degli scatti, come il rimbombo nei vicoli delle urla di paura e di morte o gli odori della polvere da sparo misti alle ferraglie delle pistole. L’uso delle multimedialità, che caratterizza la maggior parte dei miei progetti ed in particolare le Voci di dentro, è sempre finalizzata all’immediatezza della comunicazione prestando attenzione nel lasciare ciascun medium nel proprio campo d’azione: la musica racconterà rumori, la poesia parole, la pittura emozioni, la fotografia un’immagine della realtà.

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